Polimaterici
Un capitolo a parte sono le sue creazioni polimateriche.

Polimaterico 01 (1978-1982), particolare

Polimaterico 02 (1978-1982)
Dal 1947 inizia a variare, o meglio arricchirsi, la sua produzione artistica, che propone le prime opere polimateriche costituite di materiali “raccattati” qua e là, che permettono di ritrarre improbabili personaggi e atmosfere di ulteriori mondi fantastici.
I soggiorni a Carate Urio e alle Cinque Terre sono i momenti in cui raccogliere ciò che natura e uomo hanno rispettivamente generato e gettato.
Ciò che conta veramente per Crippa è la parodia, il riferimento dato dall’oggetto e non al soggetto.
I nuovi mondi sono generati attraverso lattine di pomodoro schiacciate e ricomposte come sfondo della rappresentazione.
Le quinte teatrali sono sfondi di ruggine e le figure sono fatte di gusci di pesca, in una sorta di rudimentale presa in giro dei ritratti con frutta e verdura del pittore manierista milanese Giuseppe Arcimboldo.
Un filo di ferro tinto di rosso, accartocciato su sé stesso, all’interno di un fondo di latta circolare, è sinonimo di una meditazione fantastica, di un pensiero tormentato o di un cervello infiammato in un improbabile figura di metallo con le braccia squadrate e spalancate.
Una sarcastica la Signora allo specchio, del 1947, tutta ingioiellata con una catena di ferro, impettita in un abito fatto di pezzetti di legno con una semplice acconciatura di legnetti intrecciati, sorride con una chiostra di denti mista a labbra di pietre rosacee.
Si specchia in un vassoio e la catena di uno sciacquone è divertita indicazione di stima per l’affettato personaggio.
Così come il Personaggio confuso che viene descritto come un capellone dal volto magrissimo, con i capelli composti da una lastra di metallo accartocciata, mentre il volto e il collo sono il dorso di una spazzola.
Il corpo, il cui cuore è una trappola per topi, è assemblaggio di legni e pietre sospesi. Una chiave, al centro, all’altezza del probabile stomaco, si accompagna ad una pistola alla tempia destra.
Totem del 1947, si riallaccia tematicamente alle prime opere degli inizi degli anni Quaranta, nella sua essenzialità isolata di materie prime nodose: legno e pietra.
Uriolario è il nome del luogo che accoglie ed ispira tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 un periodo assai proficuo per l’estro creativo-fantastico e polimaterico di Luca Crippa. La sua etimologia è una poetica fusione tra Urio, piccolo borgo sul lago di Como unito alla vicina Carate, e la parola Lario, toponimo che indica il medesimo lago.

Cucchiaini feriti (1938)
Si può dire che il Polimaterico – senza titolo del 1976, apra un settennato di altissima qualità artistica giocata sul ritratto ideale e divertito, qui realizzato con incastri di timoni galleggianti, pietre sospese su fili di ferro e un legno intagliato simile agli schienali di sedie contadine o ad assi lavorate che decorano i balconi montani.
Il ritratto trasognato è tema di tutte quelle opere che, con difficoltà si riescono a datare puntualmente, ma che sono da ascrivere al periodo che va dal 1978 al 1982: Polimaterico – apertura su tronco, in cui si contrappongono – come nel ritratto pierfrancescano con Federico da Montefeltro e Battista Sforza – due nobili personaggi assemblati, su uno sfondo di travi, con conchiglie, pietre e frammenti di legno scolpiti; Polimaterico – bauli, dove il busto del personaggio è ricreato con maniglie, serrature e angoli recuperati forse da un vecchio baule, oppure Polimaterico – busto, realizzato con un busto da sartoria, su cui si innesta una cassetta di legno rettangolare che mette in mostra una girandola arancione, forse il cuore, sovrastata da un lungo collo e una testa di pietra.

La città (1946)

Fiori di sasso (1946)
Più misteriosi, quasi feticci apotropaici da appendere fuori dalla porta di casa nelle giornate di vento sul lago: Polimaterico – chiavistello, Polimaterico – pietre ai confini, Polimaterico – tondo pendente, Polimaterico – traversina e Polimaterico – ventola, Totem murale realizzati con catene, ferri, maniglie, tavolette di legno, ventole, viti, roncole, vanghe, forconi, mestoli, uncini e le sempre pietre lacustri levigate.
Totem familiari, dalle dimensioni più ridotte dai quali emerge un atmosfera più casalinga sono: Polimaterico – piedistallo di tronchi, Polimaterico – portafrutta, Polimaterico – matterello, dove il protagonista dal corpo di un matterello da cucina, regge una lancia quasi a custodire il proprio indecifrabile mondo di sogno, a cui si avvicinano Polimaterico – tronco di pietre (1980) e Polimaterico – soldato (1981) da legare al filone de il Generale o dell’Arcivescovo della metà degli anni Quaranta.
La narrazione scultorea di Luca Crippa raggiunge i suoi massimi livelli, anche se ormai lontana nel tempo dai probabili modelli adolescenziali dada-surrealisti, nelle sue ultime dieci opere qui analizzate, culmine di un divertissement onirico che allestisce quinte teatrali (e Crippa nella sua carriera ne ha realizzate innumerevoli), dove muovere i suoi robe trouvé e objet réve, assemblandoli con minimali spunti cromatici in un racconto scandito da personaggi e dalle loro storie mute.
Si pensi allo splendido Polimaterico 01, tripartito con regolarità scenografica, che descrive un personaggio di legno intento a sognare pietre-uccelli dalla coda di ferro e farfalle che si alzano in volo da fiori di sasso; oppure all’ambientazione di Polimaterico 02, in cui viene immortalato fotograficamente un accadimento familiare; o ancora i Polimaterico 07 e Polimaterico 08, set in cui concitati si susseguono attori tutti intenti a recitare e a far palpitare la scena nella valenza del loro gesto.
Ritratti di famiglia, affini a quei dipinti capoletto tanto in voga nell’ottocento, sono Polimaterico 03, Polimaterico 04 e Polimaterico 06, in cui due figure si abbracciano sotto una luna fatta di un anello arrugginito.
È interessante notare i cocci coloratissimi, residui di piatti e stoviglie, recuperati dalle draghe che hanno ripulito i canali veneziani e che Crippa raccoglie e riutilizza per la sua lirica composizione.
Polimaterico tempo di pietra (1980), La prigione (1981) e L’officina di Uriolario (1982) si possono leggere come le pagine di un diario, quello di Luca Crippa, in cui descrive, forse svelando con un pizzico di malinconia tra le sue fantasie, l’immobilità del tempo come macigno scandito da una sveglia, la solitudine prigioniera di una ricerca meticolosa che cerca con la lente di ingrandimento di ritrovare il proprio io evanescente, e l’industriosa e quotidiana ricerca, tra i giochi dell’infanzia, di situazioni fantastiche inventate con i poveri e semplici giochi a disposizione.
La visione polimaterica ispirata, fantasiosa e giocosa dell’arte di Luca Crippa, ricca di metamorfosi, magie al contempo puerili ed illusorie, fatta di cumuli di sassi e frammenti di legno portati dal tempo, ha assemblato poeticamente nuovi spazi, ricreando in ogni singola composizione piccole scenografie dove personaggi ritratti, simboli e modelli che l’uomo rincorre, vengono lì scherniti poiché protagonisti di un altro mondo, concepito, immaginato e costruito da questo, ma comunque in un’altra realtà.
Una fervida dimensione di libertà, un abbraccio creativo che utilizza ogni possibile materiale trasfigurandolo e trasformandolo in pretesto estetico, in concrezione poetica.
(Giorgio Seveso – L’ UNITA’, Milano – 19 gennaio 1982)

Signora allo specchio (1947)